Sapevi che circa il 70% delle persone nel mondo sperimenta almeno un evento traumatico nella vita? In Italia questa realtà tocca da vicino milioni di individui: oltre 16 milioni di cittadini riferiscono un disagio psicologico medio-grave (fonte: Ansa). Il trauma psicologico è dunque un fenomeno diffuso e dall’enorme impatto sulla salute mentale collettiva.
Esploreremo cos’è il trauma, come può influenzare profondamente la vita quotidiana e le relazioni, quali sintomi riconoscere, le possibili cause e fattori di rischio (specie i traumi infantili), e quando è importante chiedere aiuto. Vedremo inoltre i principali approcci di trattamento scientificamente comprovati, come l’EMDR e la psicoterapia cognitivo-comportamentale, e alcune strategie pratiche per affrontare e superare il trauma.
(Spoiler: non sei solo in questo percorso, e con il giusto supporto è possibile guarire dalle ferite invisibili lasciate da un trauma.)
Il termine trauma (dal greco “ferita”) in ambito psicologico indica un’esperienza di vita estremamente sconvolgente, tale da minacciare la stabilità e la sicurezza di una persona. In pratica, un evento traumatico è qualcosa che mette a repentaglio la nostra vita o quella altrui, facendo sperimentare un livello di stress emotivo e fisico così intenso da superare la normale capacità di farvi fronte. Durante e dopo un trauma ci si può sentire impotenti, terrorizzati, sconvolti da ciò che è accaduto.
Esempi comuni di eventi potenzialmente traumatici includono gravi incidenti (es. incidenti stradali), disastri naturali come terremoti o alluvioni, atti di violenza subita (aggressioni, abusi sessuali, rapine) o situazioni di guerra e terrorismo. Anche la perdita improvvisa di una persona cara o l’aver assistito a scene terribili (come testimone o soccorritore) può causare un trauma profondo (fonte: ISS). Ciò che rende un evento “traumatico” non è solo la gravità oggettiva, ma l’impatto soggettivo: se l’esperienza travolge le risorse di coping della persona, lasciandola con un senso di impotenza e terrore, allora può generare un trauma psicologico.
Vivere un trauma non è qualcosa che “passa” senza lasciare traccia, almeno non subito. Nelle settimane e mesi successivi all’evento, è frequente che la quotidianità della persona venga sconvolta. Le attività di tutti i giorni, come lavorare, studiare, prendersi cura della casa o mantenere i rapporti sociali, possono diventare difficili. La persona traumatizzata spesso fatica a concentrarsi, ha problemi di sonno (incubi, insonnia) e perde interesse nelle attività che prima considerava piacevoli. È come se una parte di sé fosse rimasta bloccata a quel momento drammatico.
Anche le relazioni possono risentirne. Chi ha subito un trauma può diventare irritabile e impaziente, oppure al contrario chiudersi in sé stesso. Incomprensioni e litigi per motivi banali possono aumentare, e i familiari o il partner possono sentirsi distanti senza capire come aiutare. Alcune persone si isolano socialmente, evitando amici e uscite, mentre altre sviluppano atteggiamenti iperprotettivi verso i propri cari (per la paura costante che accada loro qualcosa). Spesso manca la serenità: si vive “col fiato sospeso”, in allerta continua che qualcosa di brutto possa ripetersi. Tutto questo può generare un senso di solitudine sia nella persona traumatizzata che in chi le sta intorno, creando un circolo di incomprensioni reciproche.
Da notare che ognuno reagisce in modo diverso. Non c’è una risposta “giusta” o “sbagliata” al trauma. Alcuni si chiudono, altri cercano conforto nella vicinanza; alcuni mostrano subito forte angoscia, altri sembrano inizialmente “stoici” per poi crollare a distanza di tempo. Queste differenze possono a loro volta creare attriti nelle famiglie (ad esempio, se un membro vuole parlare dell’accaduto mentre un altro preferisce evitare). Mantenere aperta la comunicazione e comprendere che le reazioni possono essere diverse è già un passo importante per affrontare insieme il periodo post-traumatico.
Quali segnali ci indicano che una persona sta ancora soffrendo le conseguenze di un trauma? I sintomi del trauma possono manifestarsi su più livelli, fisico, emotivo e comportamentale, e spesso persistono per settimane o mesi dopo l’evento. Ecco i principali sintomi da tenere d’occhio:
Disturbi del sonno (difficoltà a dormire, incubi ricorrenti), affaticamento costante, tensione muscolare. Possono comparire anche somatizzazioni come dolori al petto, cefalee frequenti, problemi gastrointestinali (nausea, colon irritabile), vertigini e indebolimento delle difese immunitarie. Spesso il corpo “tiene il conto” dello stress subito: ad esempio, è comune una maggiore ipersensibilità ai rumori (sussultare a un rumore forte) e una risposta di allarme esagerata.
Rivivere continuamente il trauma nella mente è uno dei tratti distintivi. Ciò avviene tramite flashback, ricordi intrusivi o immagini mentali vivide dell’evento, che affiorano durante il giorno, e tramite incubi notturni, in cui la scena traumatica si ripete nei sogni. A livello emotivo si osservano spesso forte ansia, paura e senso di vulnerabilità, oppure tristezza e disperazione (il trauma può condurre a un quadro simile alla depressione). Molte persone riferiscono anche irritabilità e scoppi di rabbia improvvisa, oppure al contrario un’anestesia emotiva: si sentono insensibili, “vuote”, incapaci di provare gioia o altri sentimenti. Può emergere un profondo senso di colpa (ad esempio “perché sono sopravvissuto io e non altri?”), così come vergogna o auto-colpevolizzazione per non aver prevenuto l’evento. Dal punto di vista cognitivo, il trauma spesso porta confusione mentale, difficoltà di concentrazione e problemi di memoria (soprattutto sul ricordo dell’evento in sé, che può presentare lacune).
Il trauma tende a innescare meccanismi di evitamento, la persona evita deliberatamente luoghi, situazioni o conversazioni che possano ricordare l’evento traumatico. Spesso c’è un ritiro dalla vita sociale: ci si isola dagli amici, ci si chiude in casa, oppure si fatica a connettersi emotivamente con partner e familiari (comunicazione ridotta, senso di estraneità). La routine quotidiana può subire importanti cambiamenti: ad esempio c’è chi smette di andare al lavoro o riduce drasticamente le attività che svolgeva prima. Non di rado compaiono comportamenti disadattivi nel tentativo di far fronte al dolore, come un maggiore consumo di alcol o sostanze per “intasare” i ricordi, o altre condotte a rischio. Un altro sintomo comportamentale tipico è la iper-vigilanza: la persona resta costantemente in allerta, come se il pericolo fosse sempre dietro l’angolo, e può sobbalzare o spaventarsi con estrema facilità per stimoli improvvisi. Questa tensione continua è estenuante e contribuisce a mantenere alto il livello di stress.
Va sottolineato che la presenza di alcuni di questi sintomi nelle settimane immediatamente successive a un trauma è normale, è la risposta naturale della mente e del corpo a un evento anormale. Diventa importante prestare attenzione alla durata e intensità di tali segnali: se persistono a lungo e provocano sofferenza significativa, potrebbe trattarsi di Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) strutturato, che richiede un intervento specialistico.
Chiunque, di fronte a eventi sufficientemente gravi, può subire un trauma psicologico. Non è indice di debolezza: si tratta di una reazione umana a circostanze estreme. Detto ciò, ci sono alcuni fattori che possono aumentare la probabilità che un evento lasci traumi duraturi o, viceversa, proteggere la persona.
Innanzitutto, la natura dell’evento traumatico fa la differenza. Traumi causati da un atto intenzionale e violento (aggressioni, violenza sessuale, abusi) tendono a provocare conseguenze psicologiche più severe rispetto a traumi “accidentali” come calamità naturali o incidenti. Questo perché il volere del malintenzionato introduce elementi aggiuntivi di terrore, tradimento e perdita di fiducia negli altri, che aggravano l’impatto sulla psiche. Al contrario, chi vive ad esempio un terremoto spesso riesce a razionalizzare l’evento come qualcosa di esterno e impersonale, e questo in parte attenua (ma non annulla) il rischio di sviluppare PTSD.
Un altro fattore cruciale è la storia personale dell’individuo. Se la persona aveva già affrontato traumi in passato, soprattutto traumi nell’infanzia come abusi, violenze domestiche o trascuratezza, la sua resilienza può essere minore, e quell’evento traumatico pregresso può “preparare il terreno” a reazioni post-traumatiche più intense in futuro. Studi clinici mostrano che per lo sviluppo di un pieno disturbo post-traumatico spesso servono concause: l’evento estremo funge da innesco, ma a determinare la cronicizzazione dei sintomi contribuiscono fattori individuali come vulnerabilità genetica, precedenti problemi di salute mentale (ansia, depressione), mancanza di un supporto sociale adeguato dopo il trauma, ecc. In altre parole, due persone possono vivere lo stesso evento critico ma avere esiti molto diversi a seconda di come quell’evento si inserisce nella loro storia e nel loro contesto.
Particolare attenzione meritano i bambini e gli adolescenti. In età evolutiva la personalità è ancora in formazione, dunque un trauma può avere effetti profondi sullo sviluppo emotivo. Purtroppo i traumi infantili non sono rari: ricerche indicano che dal 15% al 43% dei bambini e ragazzi vivrà almeno un evento traumatico significativo nel corso dell’infanzia/adolescenza. I più piccoli sono vulnerabili perché non hanno ancora gli strumenti emotivi e cognitivi per elaborare ciò che è accaduto. Ad esempio, fino al 90% dei bambini vittime di abusi sessuali sviluppa sintomi post-traumatici importanti (come incubi, regressioni, fobie). I traumi in famiglia, maltrattamenti, violenza assistita tra i genitori, possono minare le basi stesse della sicurezza emotiva del bambino, con ripercussioni che si trascinano nell’adolescenza e età adulta (problemi di attaccamento, bassa autostima, tendenza a disturbi d’ansia o personalità). Per questo è fondamentale intervenire presto quando un minore subisce un trauma: un supporto psicologico tempestivo può prevenire l’insorgere di disturbi più gravi col tempo.
Anche la ripetizione o la durata dell’evento traumatico influisce. Un conto è un singolo episodio circoscritto (un incidente, un terremoto di pochi minuti); altro è subire, durante lo sviluppo, traumi cumulativi o prolungati nel tempo, come ad esempio una relazione abusante protratta per anni, oppure crescere in un contesto di violenze ripetute. In questi casi può instaurarsi un trauma complesso, una forma particolarmente insidiosa in cui la personalità si organizza attorno al continuo stato di minaccia. I traumi cumulativi dell’infanzia (definiti anche traumi di tipo II, rispetto ai traumi tipo I singoli e acuti) minano lo sviluppo di base della capacità di fidarsi e di regolarsi emotivamente.
In sintesi, non tutti coloro che vivono un trauma svilupperanno un disturbo post-traumatico. La maggior parte delle persone attraversa un periodo di naturale sconvolgimento emotivo, le cosiddette “reazioni normali a eventi anormali”, e poi gradualmente recupera l’equilibrio. Solo una minoranza (stimata in circa il 7-8% della popolazione generale) andrà incontro a un PTSD conclamato. I fattori di rischio sopradescritti (tipo di trauma, storia personale, vulnerabilità individuali, mancanza di supporto) sono quelli che, combinati, aumentano le probabilità che il trauma lasci cicatrici durature. Viceversa, fattori protettivi come un buon sostegno familiare/sociale, interventi psicologici precoci e capacità di resilienza individuale favoriscono un recupero più rapido.
Dopo un evento traumatico, è comprensibile voler “fare da soli” e sperare che col tempo tutto torni a posto. In molti casi, con il sostegno di amici e familiari e le proprie risorse personali, le reazioni acute si attenuano nell’arco di poche settimane. Tuttavia, ci sono situazioni in cui è importante rivolgersi a un professionista senza indugio. Ecco alcuni criteri utili per capire quando chiedere aiuto (psicologico e/o medico):
Ricorda: chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di coraggio. Un trauma può essere troppo pesante da gestire da soli, e i professionisti della salute mentale (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri) sono formati proprio per accompagnare le persone nell’elaborazione di queste esperienze. Se hai anche solo il dubbio di aver bisogno di supporto, fare una prima consulenza non impegna a nulla ma può chiarirti le idee e prevenire conseguenze peggiori.
Fortunatamente, negli ultimi decenni la psicologia clinica ha sviluppato approcci molto efficaci per il trattamento dei traumi. Il percorso di cura di solito è personalizzato: dipende dal tipo di trauma, dalla gravità dei sintomi e dalle caratteristiche della persona. Spesso è necessario un approccio multidisciplinare, che coinvolge diverse figure (psicoterapeuta, psichiatra, medico di base) per coprire tutti gli aspetti del disturbo. Di seguito presentiamo le terapie e gli interventi con maggior evidenza di efficacia nel trattamento del PTSD e dei traumi psicologici:
È uno dei trattamenti più validati. Comprende tecniche come l’esposizione graduale al ricordo traumatico (in immaginazione o tramite scrittura/narrazione guidata), che aiutano a desensibilizzare la paura legata ai ricordi; la ristrutturazione cognitiva, per modificare i pensieri negativi e i sensi di colpa irrealistici legati all’evento; e l’insegnamento di strategie di gestione dell’ansia (rilassamento muscolare progressivo, respirazione diaframmatica, mindfulness). Queste tecniche, applicate in un contesto sicuro col terapeuta, permettono pian piano di riorganizzare il ricordo traumatico nella mente, in modo che perda il suo potere disturbante. La CBT può includere anche “compiti a casa” tra una seduta e l’altra, per favorire l’elaborazione continua.
È una tecnica di psicoterapia specificamente sviluppata per i traumi da Francine Shapiro nel 1989. L’EMDR utilizza la stimolazione bilaterale del cervello, tipicamente tramite movimenti oculari guidati dal terapeuta, oppure tapping alternato sulle mani, mentre il paziente richiama alla mente in modo controllato elementi dell’esperienza traumatica. Questo procedimento facilita una rielaborazione neurofisiologica del ricordo: in pratica aiuta il cervello a digerire ciò che è accaduto, riducendo l’intensità emotiva e fisica collegata a quei ricordi. Le sedute di EMDR possono essere intense emotivamente, ma molti pazienti riportano miglioramenti significativi anche in poche sessioni (specie per traumi isolati). Spesso l’EMDR viene integrato ad altre terapie e oggi è riconosciuto a livello internazionale come trattamento efficace per il PTSD.
In alcuni casi, associare ai colloqui psicologici una terapia farmacologica mirata può essere molto utile. Ad esempio, farmaci ansiolitici o antidepressivi SSRI vengono prescritti per attenuare i sintomi di ansia, insonnia o depressione che spesso accompagnano il PTSD. I farmaci non “cancellano” il trauma e non sostituiscono la psicoterapia, ma possono creare le condizioni per lavorare meglio sul trauma (es. migliorando il sonno o controllando gli attacchi di panico). La decisione di introdurre farmaci va valutata caso per caso da un medico (psichiatra o anche il medico di base in consulenza con lo psicoterapeuta). Quando i sintomi sono particolarmente invalidanti, un aiuto farmacologico temporaneo può fare la differenza nel percorso di guarigione.
Affrontare un trauma spesso richiede di considerare la persona nella sua totalità. Oltre alle terapie individuali, esistono gruppi di supporto per persone traumatizzate dove condividere esperienze e sentirsi meno soli. In alcuni casi può essere coinvolta la famiglia nella terapia (per traumi che hanno colpito anche i familiari, o per migliorare la comprensione reciproca). Tecniche complementari come la psicoterapia sensomotoria (che lavora sulle memorie corporee del trauma) o la tecnica del tapping possono dare benefici aggiuntivi, se integrate da terapeuti esperti. L’importante è che ci sia coordinazione tra i vari interventi: ecco perché spesso i centri di salute mentale adottano un approccio di équipe, con psicologo, psichiatra ed eventualmente altri specialisti che collaborano al caso. Questo garantisce un supporto completo alla persona.
Vale la pena ricordare che ogni percorso di cura del trauma è unico. Alcune persone rispondono meglio a un approccio, altre ad un altro. È fondamentale affidarsi a professionisti qualificati (psicologi psicoterapeuti specializzati in traumi, psichiatri) che possano valutare il caso e proporre il trattamento più adatto, monitorando i progressi nel tempo. Con il giusto aiuto, anche chi ha vissuto esperienze terribili può non solo alleviare i sintomi, ma tornare a condurre una vita ricca di significato, e talvolta scoprire dentro di sé risorse nuove (crescita post-traumatica).
Oltre ai trattamenti professionali, esistono alcune strategie di auto-aiuto e accorgimenti di lifestyle che possono facilitare il processo di guarigione dal trauma. Questi consigli non sostituiscono la terapia, ma possono aiutarti a riguadagnare un senso di controllo e benessere giorno dopo giorno. Eccone alcuni:
In sintesi: abbi cura di te come faresti con una persona cara che ha sofferto. Piccoli passi ogni giorno, tra alti e bassi, ti aiuteranno a riappropriarti pian piano della tua vita oltre il trauma. E per qualsiasi dubbio o difficoltà, ricorda che chiedere aiuto è sempre un primo passo importante, non devi fare tutto da solo.
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Se il peso del trauma ti accompagna ancora e senti di aver bisogno di supporto professionale, non esitare: puoi prenotare un appuntamento con i nostri psicologi specializzati in traumi. Iniziare un percorso di aiuto è il primo passo per riprendere in mano la tua vita. My Mental Care è qui per te, con empatia e professionalità.